giovedì 30 giugno 2016

Francesco Ferdinando, quell'attentato che cambiò il mondo





Simbolo e nome di varie società segrete, la " mano nera " operò tra la fine dell'800 ed il primo ventennio del ' 900.
Sorta in Spagna, in America Latina, in Serbia e negli Stati Uniti quale organizzazione criminale italo - americana, nel 1911 venne ricostituita in Serbia da Dragutin Dimitrievic con il motto " Unità o morte " e agitò con metodi terroristici il problema unitario jugoslavo.









Composta prevalentemente da ufficiali e studenti nazionalisti antiaustriaci, il 28 giugno 1914, autore il ventenne studente di architettura Gavrilo Princip, la Mano Nera uccise l'erede al trono dell'Impero austro - ungarico Francesco Ferdinando d'Asburgo e sua moglie Sonia Chotek, duchessa di Hohenberg. L'attentato avvenne a Sarajevo, attuale capitale della Bosnia - Erzegovina, e come sappiamo fu la causa pressochè immediata del primo conflitto mondiale, dopo l'ultimatum dell'Austria alla Serbia ( 23 luglio ) ed il conseguente attacco austriaco del successivo 28.









Ferdinando era nato a Graz il 18 dicembre 1863. Figlio dell'Arciduca Carlo Luigi, fratello terzogenito dell'Imperatore Francesco Giuseppe e della principessa Maria Annunziata di Borbone, da ragazzo non poteva certo immaginare che a 33 anni sarebbe diventato l'erede al trono di una delle più blasonate case reali d'Europa.









Ma le sventure famigliari dell'Imperatore ebbero il netto sopravvento e, sembra suo malgrado, si ritrovò in questa condizione contro il volere dello stesso zio che però dovette fare di necessità virtù.
Morto infatti Massimiliano in Messico nel 1867, suicidatosi il principe ereditario Rodolfo nel 1889, e deceduto anche il padre di Ferdinando nel 1896, Francesco Giuseppe e Francesco Ferdinando si ritrovarono soli e comunque impossibilitati a trovare altre soluzioni.









A dire il vero però Ferdinando ci mise del suo, sposando morganaticamente nel 1900 la contessa Sofia Chotek, di origine boema, quando cioè era già consapevole di essere l'inevitabile erede al trono.
Come potete immaginare, la notizia mandò su tutte le furie l'Imperatore che, si dice, minacciò contro l'ineffabile nipote ogni sorta di provvedimento possibile, senza poi in realtà adottarne alcuno.









Nei 14 anni che andarono dal matrimonio all'attentato, Ferdinando cercò in tutti i modi di assecondare la politica assolutista dello zio, raccogliendo l'odio delle popolazioni slovacche, ceke, boeme, ungheresi, polacche e di tutte le genti che noi configuriamo nel termine generico jugoslave.









Quanto ai rapporti con l'Italia, nonostante la mamma fosse Siciliana, era molto diffidente verso ilnostro Paese ed inoltre era rimasto molto colpito dall'uccisione drammatica della zia, Imperatrice Elisabetta di Wittelsbach " Sissi ", colpita a morte a Ginevra il 10 settembre 1898 per mano dell'anarchico italiano Luigi Luccheni.









Morto Francesco Giuseppe il 21 novembre 1916, la resa incondizionata alle Forze Alleate venne firmata nel 1918 dal trentenne Carlo I, figlio dell'Arciduca Ottone d'Asburgo - Lorena e pronipote indiretto della stesso Francesco Giuseppe.









Tristissima fine di un impero che, comunque, aveva contribuito non poco alla storia dell'Europa.







( Sergio De Benedetti, Libero del 26 giugno 2014 )
( Immagini dal web )

venerdì 24 giugno 2016

Lieti Calici: Malvasia delle Lipari ( Sicilia )




Quando io bevo penso, quando penso bevo!
François Rabelais (circa 1494 – 1553)



Carta d'identità




Denominazione:    Malvasia delle Lipari dolce doc

Vitigni principali:  Malvasia delle Lipari

Gradazione alcolica minima:   11,5 gradi



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Caratteristiche

* Colore      giallo dorato o ambrato.

* Odore       Ampio con sentori di albicocca di miele e di eucalipto.

*Sapore        Dolce, aromatico, caldo, soffice, decisamente pieno.


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Servizio

* Temperatura       10 gradi

* Abbinamenti       Biscotti, tartellette, piccola pasticceria anche farcita con creme. Ma soprattutto è 
                                 vino da meditazione.



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Le isole Lipari, o Eolie, costituiscono un piccolo arcipelago formato da sette isole ( Lipari, Stromboli, Salina,  Panarea, Vulcano, - mitologica residenza di Eolo - Filicudi e Alicudi. ) tutte in provincia di Messina, al largo di Milazzo. Qui i coloni greci portarono e coltivarono per primi la Malvasia che, dopo millenni,  viene ancora oggi coltivata e vinificata.









La produzione dell'omonimo vino era, verso la fine degli anni cinquanta del secolo scorso, in netta decadenza. Le sue sorti cambiarono grazie all'arrivo di un turista che, innamorato delle isole e dei suoi vigneti, vi si stabilì contribuendo in modo determinante alla rinascita di questo antico vino.









I vini dolci del Mezzogiorno suscitano oggi l'interesse di molti appassionati perchè intensi e solari, caratterizzati da profondità di colore e ampiezza di sapore. Nascono da uve, come detto, messe a dimora dagli antichi greci e forse addirittura dai fenici, e che quindi appartengono alla vetusta civiltà mediterranea. Oggi la Malvasia delle Lipari è prodotta soprattutto nelle isole di Salina e Stromboli, mentre la sua vinificazione nelle altre isole è modesta se non assente.









Il Vino



Quando Carlo Hauner, designer milanese, giunse nel 1963 nelle Eolie per trascorrervi un breve periodo di vacanza, si innamorò di queste isole selvagge e decise di acquistare una fattoria a Salina dove poter dipingere e produrre vino. In quel periodo la Malvasia era, come abbiamo visto, in declino, veniva commercializzata unicamente sul posto e non possedeva gli standard qualitativi per poter attrarre il mercato continentale.









Hauner, dopo pazienti ricerche fatte di numerosi tentativi, riuscì a scoprire i segreti di questo vino; seppe cioè vinificarlo in modo meno approssimativo di quanto era avvenuto sino a quel momento e le sue bottiglie incontrarono subito l'interesse degli intenditori.









La Malvasia delle Lipari di Hauner si impose soprattutto a cavallo tra gli anni ottanta e novanta, apprezzata per la sua armonica compiutezza. L'intraprendenza di Hauner fu seguita poi da altri produttori che cambiarono metodi e impianti di vinificazione. elevando e valorizzando il patrimonio viticolo dell'arcipelago.









La DOC



Nel 1974 la Malvasia delle Lipari è stata riconosciuta Doc; il disciplinare che ne regolamenta la produzione prevede che il vino sia ottenuto con uve malvasia di Lipari ( massimo 95 % ) completate da uve Corinto nero ( 5-8 % ).
La resa massima delle uve è di 90 quintali per ettaro. Il disciplinare stabilisce che il vino possa essere prodotto  nelle varietà dolce, passito o dolce naturale, e liquoroso.









La Malvasia delle Lipari dolce deve possedere un tasso alcolico minimo di 11,5 gradi dei quali almeno 8 svolti. Ciò significa che il vino al momento della svinatura, deve registrare almeno 8 gradi alcolici. La Malvasia al momento della commercializzazione ha colore giallo dorato o ambrato; sfumature di colore che variano in funzione dello stadio di maturazione delle uve, in genere surmature o parzialmente passite.









Il profumo è ricco, ampio e lascia trasparire sentori di albicocca, tipico di alcuni vini dolci mediterranei. Si avvertono inoltre ricordi di miele ed eucalipto. Il sapore, dolce, è aromatico, caldo, soffice, decisamente pieno. La Malvasia va degustata a 10 gradi di temperatura, come vino da meditazione, ossia sorseggiandola senza nessun accompagnamento; oppure proposta assieme a pasticceria da forno come biscotti, tartellette, paste mignon anche farcite con creme o frutta: fragole, albicocche, pesche, ananas, mirabelles.









La Malvasia passita, o dolce naturale, è prodotta utilizzando grappoli particolarmente ricchi di zucchero. Presenta colore giallo oro tendente all'ambrato; l'odore è ricco di intensità aromatiche; il sapore è dolce, vellutato, pieno. La gradazione alcolica minima è di 18 gradi, dei quali 12 svolti. Il vino, servito a 10 gradi, oltre ad essere proposto senza accompagnamento, può essere servito a fine pasto in luogo di un distillato o per accompagnare piccola pasticceria da forno.










Infine il disciplinare prevede la produzione della Malvasia liquorosa ( in verità piuttosto rara ), che deve essere dotata di 20 gradi alcolici e avere colore giallo dorato o ambrato; il profumo deve risultare intensamente aromatico, mentre il sapore è dolce, pieno, sostenuto da spiccata alcolicità. Si serve a 10 gradi come vino da meditazione o dopo un pranzo importante in luogo dei distillati







Vi invito a passare dal blog di Audrey per  " gustare " insieme il suo coktail di- vino

Caipirissia alla Malvasia delle Lipari


( immagini dal web )
( wall d'apertura Audrey )



mercoledì 22 giugno 2016

La magia di Villa " La Magia " dai Medici ai nobili pistoiesi





In localita Tizzana, nel comune di Quarrata ( Pistoia ), la Villa La Magia spicca in tutta la sua bellezza. Unitamente ai due giardini e ad altre 11 ville disseminate in Toscana, dal 23 giugno 2013 la Villa è diventata Patrimonio dell'Umanità a cura dell'Unesco, a coronamento di un percorso culturale che, grazie a questa decisione, non conoscerà confini per il suo alto valore artistico.








L'impianto medioevale della villa nasce nel XIV secolo per merito della famiglia magnatizia pistoiese Panciatichi, che trova in Corrado, figlio del capostipite Vinciguerra, il personaggio di riferimento. Nel corso del XV secolo la struttura assume l'evidenza di una suntuosa residenza di campagna grazie  a una costruzione quadrangolare di sicuro effetto prospettico.









A causa di un probabile rovescio finanziario, gli eredi Panciatichi venderanno " La Magia " nel 1583 al Granduca FrancescoI de' Medici, il quale per la ristrutturazione chiamerà l'architetto Bernardo Buontalenti, detto Bernardo della Girandola per le sue divagazioni negli ambbinamenti scenici con giochi pirotecnici e d'acqua. Anche la famiglia Medici nel 1645 tramite il Granduca Ferdinando II venderà la villa  a Pandolfo Attavanti sr., componente della casata di antica nobiltà risalente al borgo di Castelfiorentino.









E' in questo tempo, durato oltre un secolo, che la villa assume una fisionomia in elegante stile barocco con uno scalone monumentale, decorazioni pittoriche, ordinamento all'interno dell'edificio senza peraltro che tutto questo ne modifichi l'aspetto esterno.









Tre importanti pittori settecenteschi fiorentini ( Giovanni Bagnoli, Giovan Domenico Ferretti e Tommaso Gherardini) si alterneranno per ornare le stanze al piano nobile. Amerigo Attavanti e suo figlio Pandolfo jr. saranno gli artefici di tanta meraviglia. Un breve trascorso di appartenenza alla famiglia Riccasoli - Fridolfi per asse ereditario ( 1752 - 1766 ) non modificherà la villa fino alla vendita nello stesso 1766 al nobile pistoiese Giulio Giuseppe Amati.









Quest'ultimo si dedicherà principalmente alla parte esterna con la costruzione di una seconda limonaia a levante ( dopo quella a ponente costruita dagli Attavanti )), il riordino del giardino all'italiana, la realizzazione di un giardino all'inglese e la realizzazione in stile neogotico della cappella di famiglia. L'ultimo discendente degli Amati aggiungerà il cognome Cellesi nel 1863 per giungere ai giorni nostri, quando nel 2000 la proprietà passerà per acquisto al comune di Quarrata.









Tutto questo e molto altro ancora viene narrato con dovizia di particolari e modi intriganti dal professor Daniele Franchi, giovane straordinario narratore di questa residenza che il comune, un po' alla volta ma con tenacia, ha intanto provveduto a mettere in sicurezza, chiamando a raccolta un numero sempre più crescente e variegato di artisti contemporanei pronti a confrontarsi con l'illustre passato dell'intero complesso.









La villa sarà aperta anche per eventi musicali e artistici di vario genere che coionvolgono ove possibile gli abitanti del territorio circostante e attraggano visitatori da ogni dove.
Perchè, per chi non l'avesse ancora capito, " La Magia " è una magia





( Sergio De Benedetti, Libero del 2 giugno 2016 )
( fotografie dal web )
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martedì 21 giugno 2016

La danza delle lucciole e un ricordo d'infanzia





Sono tornate a splendere le lucciole ( nel senso di insetti ) in campagna, ma anche in città.
Ho letto che le si vedono di nuovo nei parchi di Roma e di Milano, nelle periferie che, a quella tenue luce sembrano meno desolate.. Si temeva che il loro tempo fosse quasi del tutto scomparso, invece no, il miracolo torna a rinnovarsi. La gente, soprattutto quella che non le aveva mai conosciute, corre a cercarle. E siccome viviamo nell'epoca della spettacolarizzazione, del marketing. dei social, si organizzano eventi, serate, aperitivi persino: tutto per celebrare le lucciole.









A me basta affacciarmi al balcone o sedermi in giardino per vedermele danzare intorno, non ho bisogno di pagare biglietti, nè di aspettare serate organizzate per la " caccia " alle lucciole, loro sono qui tutte le sere e il pensiero corre lontano, agli anni dell'infanzia, il ricordo di tenui luci, quelle emesse dalle lucciole fluttuanti su campi, prati, sentieri persi nel buio. e i grilli che frinivano senza sosta tra l'erba, i profumi di gelsomino e di erba tagliata...Una scena che ha il sapore del tempo perduto, immagine che arriva dritta dal mio mondo infantile quando paese e campagna si confondevano tra strade, giardini, casette sempre più rade e poi di nuovo prati e boschi.









Allora le lucciole annunciavano  e testimoniavano l'arrivo puntuale della stagione più bella.
Allora questo paese era un paese più vivo, le fabbriche lavoravano a pieno ritmo e gli abitanti erano tanti...ricordo che in estate c'era l'abitudine della passeggiata serale, dopo cena si usciva...si impiegavano delle ore a percorrere la via che attraversa il paese perchè ci si fermava a parlare, a chiacchierare a prendere il gelato da 20 Lire dall'Adelina oppure all'Albergo Italia.









Anche noi, con mamma e papà, uscivamo ogni sera per questa sorta di rito sociale che , credo, ci faceva sentire una comunità...In fondo al paese, proprio di fronte all'Albergo, c'era un prato che all'epoca mi sembrava enorme e lì centinaia e centinaia di lucciole ogni sera danzavano la loro danza d'amore, ci fermavamo a guardare il loro chiarore nel buio e poi tornavamo a casa.








Il prato non c'è più al suo posto c'è il bruttissimo palazzetto della Asl
non ci sono nemmeno più gli abitanti che, alla sera, passeggiano per le strade, se ne sono andati tutti verso la città, verso dove, forse, è ancora possibile trovare un lavoro perchè qui non ci sono nemmeno più le fabbriche...e nemmeno più i boschi sembrano quelli di una volta...ma ogni sera mi affaccio dal mio balcone e, come quando ero bambina mi incanto a guardare le romantiche lucciole e mi sembra di sentire la voce della mia mamma che mi racconta della loro eterna danza.





( Immagini dal web )

domenica 19 giugno 2016

Nella soffitta della nonna: Il cestino da picnic





Ed eccomi qui dopo aver effettuato un nuovo viaggetto nella " soffitta della nonna ", l'oggetto che ho trovato questa volta non è propriamente caduto in disuso anzi io lo trovo  molto chic, diciamo che è stato un po' dimenticato va però detto che oggi se ne trovano in commercio di bellissimi. E dato che ritengo importante essere davvero eleganti   anche nei momenti di relax.. niente di meglio di un favoloso ed elegantissimo cesto da picnic!!!
Un regalo che ho sempre desiderato ricevere e consiglio a tutti come spunto per un dono originale e che sarà sicuramente gradito! Io l'ho ricevuto lo scorso anno come regalo per il nostro anniversario di matrimonio corredato di piatti di porcellana e bicchieri di cristallo...bellissimo e molto romantico.
Ma veniamo alla storia di questo oggetto così demodè e così affascinante
Quella del picnic è una pratica che ha alle spalle una tradizione molto antica, vissuta un tempo con una solennità e un fasto ormai lontani dalla nostra concezione attuale.







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 Questo pasto all’aperto sembra essere nato nel ‘600 come pausa durante lunghi viaggi a cavallo o battute di caccia, ma è subito diventato un’usanza sociale di moda soprattutto fra i nobili. Organizzare un pasto in mezzo ai campi o lungo i fiumi era, per molti aristocratici, un modo per sfuggire ai grandi banchetti ufficiali. Addirittura la regina Maria Antonietta è ricordata come un’appassionata di queste scampagnate, che erano un’occasione per svagarsi e per mangiare nei prati che circondavano Versailles. Il picnic (da pique, prendere, e nique, piccola cosa) era una trasgressione molto apprezzata.








Fortunatamente questa tradizione non è rimasta di esclusivo appannaggio dei nobili e, nel corso dei secoli, si è evoluta e ha assunto forme sempre nuove. La sua importanza, a discapito della semplicità, è cresciuta al punto da renderlo protagonista di numerose opere d’arte, fra le quali il famoso dipinto di Edouard Manet Le dejéuner sur l’herbe. All’inizio del’800 ha assunto addirittura un significato legato alla condivisione e alla fratellanza, dando vita a una vera e propria società, la Picnic society, i cui membri preparavano il cibo da offrire agli altri membri.








Oggi il picnic è conosciuto più che altro come un’escursione all’aperto, durante la quale potersi fermare per godere il paesaggio, rilassarsi e, soprattutto, gustare piatti preparati per l’occasione. Passatempo per famiglie e gruppi di amici o scusa per un appuntamento romantico, questo spuntino ha ormai delle caratteristiche diffuse e riconosciute, prima fra tutte l’immancabile coperta da stendere sull’erba per poter appoggiare tutto il necessario. Personalmente preferisco i tavoli di legno allestiti  ( ben distanziati uno dall'altro ) ad esempio nella nostra magnifica Oasi Zegna e quindi anzichè la coperta suggerirei una bella tovaglia, magari a quadri o a fiori. Anche il cesto non va sottovalutato: dal classico in vimini alla più moderna tracolla tecnica, le possibilità sono svariate e adatte – a volte più, a volte meno – all’atmosfera che si vuole ricreare. Naturalmente io propendo per il vimini nel più perfetto stile Pilcher.








Al di là degli accessori e dei dettagli più alla moda,  ciò che fa la differenza quando si organizza un picnic è indubbiamente il cibo. Quali sono quindi i piatti preferiti e più gettonati? Fra le ricette più diffuse ci sono sicuramente panini di vario tipo, frittate, insalate e pasta fredda, tutte cose che si preparano in poco tempo e che si conservano in semplici contenitori. Anche un picnic informale può però rappresentare un’occasione speciale e divenire quindi una scusa per sperimentare preparazioni nuove. Su cosa si punta, quindi, per rendere indimenticabile uno spuntino all’aria aperta? Una soluzione può essere quella di provare le ricette regionali e fare, così, un giro d’Italia attraverso i menu tipici. ( A questo proposito vi suggerisco la lettura di questo mio post
Pasquetta da asporto )








 Quindi  panini morbidi con frittata, insalata croccante e pomodoro, pasta fredda al pesto e frittata di maccheroni. Ma anche roastbeef, pollo freddo a pezzetti con verdure di stagione, panzanella con cipollotti freschi, peposo dell’impruneta o vitel tonnè.  melanzane alla parmigiana e cotolette impanate, insalata di riso,  scciattamaio genovese,  polpettone di tonno, cipolle, zucchine e fiori ripieni,  carpioni di zucchine.  Insomma, non è proprio vero che chi sceglie di fare una scampagnata debba accontentarsi di due foglie di insalata!







Per concludere, vi suggerisco invece dei dolci asciutti, come la torta margherita, o delle crostate, facili da tagliare e da trasportare, ma qui da noi sono praticamente un obbligo le nostre deliziose pesche ripiene.  E non dimentichiamo la frutta, rigorosamente fresca, e un bel thermos con il caffè.








Non dimenticate una bella bottiglia di vino , propenderei per un rosato fresco, o se proprio volete strafare ed è un'occasione speciale una bottiglia di champagne ghiacciata ( I moderni cestini da picnic hanno anche uno scomparto refrigerante)  e un bel libro da leggere sdraiati all'ombra di un albero durante il pomeriggio. E poi concedetevi un po' di tempo per liberare la mente e per ascoltare i silenzi della natura intorno a voi...ed ecco che la cesta da picnic della nonna diventa anche terapeutica!





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Piemontesità

Piemontesità
" ...ma i veri viaggiatori partono per partire, s'allontanano come palloni, al loro destino mai cercano di sfuggire, e, senza sapere perchè, sempre dicono: Andiamo!..." ( C.Boudelaire da " Il viaggio")